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Donne d’Africa, storie di speranze e di sogni spezzati

Sono a letto. Finalmente. Il viaggio é lungo. Non si arriva mai. Mai. Quando ho cercato la mano di Ariel ho solo stretto il pugno e giù. Giù. Sino a trovarmi non so dove. Ho abbracciato il mare e sono qui. Resto qui. Si. Il letto di legno è caldo. Ma ho freddo. Tanto freddo. Ariel ha occhi solo per me. Abbiamo l’Africa sopra pelle. Nel cuore. Dentro di me. In questo letto di legno caldo, così freddo, mi si stringe la pelle! Una leggera brezza, dolce mi accarezza il viso. La sento. La respiro. Mi accompagna nel viaggio. Dentro di me avverto un che! Un movimento. Un turbinio di parole. Frasi, pensieri, ricordi, voci si affastellano. Qualcosa inizia, e Ariel a fianco mi guarda. Ha carezze delicate ed occhi lucidi profondi di mare blu.  Qui dal letto vedo poco. Con il sole negli occhi anche quando sembra si faccia sera, buia, nera, profonda, ho cuore gonfio d’amore e coraggio per osare sempre. La grand mère e maman dicono sempre così. Ma il mare. Blu cobalto. Bello, azzurro, com’è profondo, com’é freddo, nero, di lapislazzuli collane al collo ed anelli di onice a dita di mani intrecciate, e, d’improvviso non respiri più. Annaspi. Rantoli. Riemergi. Sento piú vita. Ho capelli neri, ricci ricci ricci e un paio di rondini negli occhi. Vedono il mondo cosí. Con ali di libertá. S’alza una voce : “ il mascone di dritta..! Ma dai nessuno ne sa. Prendi il mare a mascone!…ma siamo in tanti”. Bambini sotto gonne e sotto coperta odore acre di urine, nuvole di fiato caldo, respiri contratti e singhiozzi spezzati in gola. “Fermiiii”. Il barcone beccheggia. Si dá di stomaco tutti e tutto leva il mare. Lava ferite e spoglia corpi. Ariel mi é vicino. Le sue mani forti d’amore mi riscaldano. Ci riscaldiamo cosí, pensando ai nostri domani. Le nuove aurore e l’alba del giorno che verrá. I respiri si confondono. Le voci s’accavallano, il sogno resiste. Ho sete. Non ho piú acqua da bere. Ne bevo sorsate generose da una ghirba che vedo ad un ramo d’albero. Appena dissetata ho la bocca arsa. Era un sogno sognato. L’arsura cresce. Ce la faremo cuore mio. Resisti. Non bere il mare. L’acqua di mare brucia il cuore. Se bevi il mare ti fermi. Arrivi prima alla meta lontana. Perció non berla. Di fianco Ariel frena le onde per non farmi bagnare. Per non farci bagnare. La grand mèr e maman mi hanno ora detto all’orecchio che sono due gemelli. Sono incinta. Aspetto due figli. Sará un sogno che sogno o davvero sará un’Africa che nasce. Forse rinasce. Con me, con noi in questo viaggio che ci porta in capo al mondo. Aspetto l’aurora di una nuova alba per dirlo ad Ariel che ancora non sa. Lo saprá da altri dopo lo sbarco nella cittá di Matteo. Salerno. Sulla via del sale il mio respiro. Due respiri che sento dentro, e fuori c’é aria di tempesta. Come chiamerò i bambini? Angeli. Angeli mai nati. Il rollio fa star male questo pezzo d’Africa a bordo. Mare grosso forza sette e poi subito nove. Sette, otto o nove. Non so che numero abbian dato al mio letto, caldo di legno ma sempre tanto freddo. Primavera verrà e ci saranno i colori, le rondini, i bruchi e le farfalle su fiorellini profumati a dividere petali con le api. Sarò rondine in volo coi passerotti e il sorriso dei miei bambini. Cresceranno si. Il maschietto gioca a costruir navi e vivrà di porto in porti con gente di mare che s’inchina al suo passo. Non ha stellette né mostrine ma mette il cappello da comandante di navi sicure con mille lucine che solcano le autostrade del mare con brillio e meraviglia. Sull’autostrada del mare ci sono anch’io. Ma su un legno. E non sono riuscita ad aggrapparmi al legno, ho stretto solo un pugno d’acqua e via giù sotto scivolando di mano e di legno. Un legno fradicio. I giornalisti in Italia li chiamano carrette del mare. Trasportano emigranti che pagano al soldo trafficanti spietati, assetati di danaro, venditori di sogni. Violenti rais ne imbarcano a migliaia dal nord Africa e non solo. Eppure ci sará la rosa dei venti. Ariel ha un cuore che abbraccia il mondo, ed io con lui sono forte in ogni parte del mondo dove andremo. C’é burrasca, le onde travolgono uomini e donne che coprono figli. I miei nasceranno sulla terra ferma sotto un cielo azzurro e li porteró al mare d’inverno per raccogliere pezzi di conchiglie che hanno visto migrar genti e stelline. Uomini trafficanti, con dollari pagati a peso, sono lerci. Il barcone ondeggia. Bevono alla bottiglia non so cosa sa di alcool, prendono donne, stuprate, chissá quante volte violentate, ne fanno scudo e come vuoto a perdere lanciati all’onda. Da bordo barca perdono l’equilibrio quelli che si aggrappano l’un l’altro. Vanno giú. Sprofondano nel mare, tra grida, voci d’aiuto e dolore disperato di mariti e di padri. Tutti Africani come me. Fratelli che uccidono fratelli, che uccidono sogni, sorelle, compagni e libertá. Africa mia verso l’Europa. Sarò ali di rondini in volo. Ora il mare è la libertà. La mia. La nostra. La bambina gioca a fare il medico. Vuole guarire le ferite corrose dal sale. Vuole fare la dentista per far sorridere i bambini. Ce ne sono tanti che hanno bocche chiuse dalla paura e denti rotti dalla fame. Una poesia vederla in camice bianco dare ossigeno, curare, sanare, ascoltare. Abbraccia il mondo dall’Africa all’Europa. Quanti corpi, quanti corpicini dispersi in fondo al mare. Che sia vita per tutti. Arrivano, partono, ritornano,  migranti vivono qui o di là dal mondo. E mia figlia cura ferite, sarà così. La vedo mettere gli occhiali a chi divide il giorno in bianco e nero, prende per mano tutti, misura vite e vissuti, per capire uno, l’ultimo, straniero o no. Le mani si stringono e i cuori si parlano. Da questo legno guardo tutti. Li ascolto. Raccolgo perle di lacrime e corone di sorrisi. Rose bianche. Una è per me. Due sono per i gemelli. Hanno il colore della vita. Rosa e celeste. Ariel è sempre lì. Vede frame dal resto del mondo. Una cineteca. D’improvviso un repertorio. E un vocabolario di parole tonde, chiare, limpide d’onestà libera di giovani, bambini, adolescenti, sotto cieli stellati di notti nel Mediterraneo ed arcobaleni che colorano facce, lune, fantasie, fratellanze, amicizie, amori di città e mal d’Africa. Ariel toglie il brutto come oglio. È il tuo sogno. Anche il nostro. Solo chi conosce le tempeste del mare comprende il turbinio degli indifesi, degli ultimi, dei senza parole e senza voce, degli invisibili maltrattati. Vai avanti Ariel, ed anche tu che leggi, ascolti, guardi, vai avanti con la mia voce. La voce di tutti. Per riscattare infanzie, adolescenze, uomini, donne d’ogni età mortificati sui barconi, nei lager della civiltà, nei campi e nei lavori duri di tanti sfruttati. Che freddo in questo letto di legno. La vita grama dei rifugiati, degli erranti, dei disperati rifiutati, sono nelle tue mani. Si in te che ascolti e forse non senti le parole ma solo il suono della voce che ti porta a girare su su su vorticosamente lontano dal mare. È nel cuore di pochi milioni di milioni il mal d’Africa. C’è un medico che sa curarne? Ma che strano sognare di sognare. Pensieri come papaveri finti. Finti come pensieri che non si dicono. Parole vuote come petali di rose. Le più belle. Profumate di nuovi amori e nuovi colori di libertà. Bianche. Un roseto di donne e colori. Gli odori di un’Africa lontana. Un autunno di caldo novembre e il profumo intenso dei gelsomini sempre in fiore nell’eterna primavera araba. Da girar la testa ed agitar coscienze. Passati profumi e ricordi di kefir bevuto a garganella. Scarabocchi di nomi su muri sgretolati e numeri su letto di legno. Sempre più freddo. Primavera verrà e le rose saranno rosse. Gli uomini ritornano al pensiero del mare attraversato su legni. Perle di lacrime dolci di principesse perdute. Lacrime amare di figli dispersi. Sguardi nel vuoto del futuro presente. Sono qui. Nel giorno delle mimose. Non mi fermo. Il viaggio continua.

 

 

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