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Africa, la sanità d’eccellenza è possibile. Parola di Rossella Miccio, presidente Emergency

Venticinque anni fa dall’idea di un visionario dal cuore immenso come Gino Strada, affiancato da sua moglie Teresa, nasceva un’organizzazione che aveva l’intento di portare assistenza e cure dove quest’ultime non erano garantite. Era una piccola organizzazione, quasi “artigianale”, come ricorda la presidente Rossella Miccio, sia nella modalità di lavorare che per il budget a disposizione molto inferiore rispetto a quello attuale.            
Ma da allora sono cambiate molte cose: in questi anni Emergency è cresciuta, anche in termini di consapevolezza di quanto ci fosse da fare, si è strutturata curando milioni di persone in 18 diversi paesi del mondo.            
Quello, però, che non è cambiato è lo spirito, è l’approccio: quello di mettere sempre al centro il paziente e i suoi diritti, di avere come riferimento un’idea di uguaglianza molto concreta, senza scendere mai a compromessi sulla qualità del nostro lavoro, nonostante i contesti in cui lavoriamo siano sempre più difficili”. Paola di presidente.       
Oggi, lavorare in un Paese in guerra è molto più complicato rispetto a quindici o vent’anni anni fa – racconta la presidente in un colloquio in esclusiva per Focus on Africa – Sempre più spesso notiamo che il lavoro umanitario non viene rispettato e riuscire a garantire le stesse cure, con la stessa qualità richiede dei grandi sforzi. Sono cresciuti, senza dubbio, anche i bisogni in termini economici, e quindi anche la struttura si è dovuta organizzare per riuscire a far fronte alle necessità crescenti, però sempre senza perdere la nostra anima, il nostro spirito. Credo sia proprio questo a fare la differenza nel lavoro che svolgiamo, sia all’estero che in Italia. Aver curato 10 milioni di persone in 18 Paesi è una responsabilità che ci porta, ogni giorno, a lavorare in maniera sempre più intensa e incisiva soprattutto in quello che Emergency chiama promozione di una cultura di pace. Il vissuto di questi 10 milioni di persone ci dà la forza e anche l’autorevolezza di poter chiedere un reale cambiamento. Ed è quello che continueremo a fare”.
A due anni dall’inizio della sua presidenza qual è il primo bilancio?      
Pur essendo in Emergency da diciannove anni, l’impegno della Presidenza è stato ed è una sfida importantissima da affrontare. In particolare, gli inizi sono stati molto complessi perché coincisi con un periodo in cui il ruolo delle ONG è stato fortemente messo in discussione e criticato dall’opinione pubblica, quindi ci siamo dovuti confrontare tutti, in maniera abbastanza repentina con un contesto a cui non eravamo abituati. Non è stato facile ma, osservando come si sono evolute le cose in questi due anni, sono molto contenta dei risultati raggiunti e delle prospettive future. Questo sia per quanto concerne internamente l’organizzazione, che sta sicuramente crescendo su tanti fronti, sia per quanto riguarda il ruolo che Emergency ha assunto all’esterno come riferimento sul fronte umanitario e culturale. Emergency infatti non è semplicemente una ONG, è un riferimento valoriale molto importate in questo Paese. Un ruolo che percepiamo dai feedback che riceviamo da quanti ci contattano e dalle tante persone che incontriamo nei contesti più svariati, sia in Italia che all’estero”.
Il volto di Emergency è da sempre Gino Strada, quanto è difficile convivere con questa presenza straordinaria ma ingombrante? 
Ho avuto il grande privilegio di lavorare con il dottor Gino, praticamente da quando sono entrata in Emergency, per fare uno stage di due mesi e, da subito, sono stata coinvolta nell’attività di allestimento dell’ospedale di Kabul a stretto contatto con lui. È stato e lo è ancora oggi un grande maestro e un punto di riferimento fondamentale, al quale io devo molto. Ho cercato di “assorbire” da lui come una spugna. Sicuramente è una persona dal carattere forte, impegnativo, a tratti anche difficile. Nonostante qualche scontro, ogni tanto, non manchi, ho sempre avuto un rapporto costruttivo con lui e la possibilità di esprimermi in maniera trasparente e serena. Esprimere dubbi, preoccupazioni, perplessità, senza mai sentirmi in difetto o in imbarazzo per questo. Credo che abbia dato e debba ancora dare tantissimo ad Emergency e non solo. È una figura importante per tutti noi che lavoriamo nell’associazione e forse ancora di più per le persone che seguono Emergency dall’esterno”.         
Avete compiuto 25 anni di attività. Qual è stato quello più difficile?    
Momenti difficili ne affrontiamo in continuazione. Personalmente, uno di quelli più critici è stato nel 2010 quando in Afghanistan tre collaboratori italiani –  il coordinatore del progetto, il coordinatore medico e il logista dell’ospedale di Lashkar-Gah –  sono stati arrestati dai servizi segreti afghani con la falsa accusa di aver ordito un complotto per assassinare il governatore del distretto di Lashkar-Gah. È stato un incubo, qualcosa che non aveva nessun senso. Probabilmente una guerra preventiva per mettere a tacere la nostra testimonianza sul campo e dare il via ad un’offensiva militare in quelle regioni. Appena ricevuta la notizia, sono subito partita per l’Afghanistan: abbiamo dovuto interrompere le nostre attività nell’area perché venivano meno i nostri punti di riferimento. Lavoravamo in Afghanistan dal 1999, eravamo lì da 11 anni. E’ stato molto complicato, in quel periodo ci siamo sentiti anche molto soli perché non abbiamo avuto, se non marginalmente, il supporto delle autorità italiane. Ma allo stesso tempo, abbiamo trovato nelle persone comuni, oltre che nella certezza di essere innocenti, un enorme sostegno e la spinta a non mollare, ad andare avanti. In pochi giorni abbiamo organizzato una manifestazione a Roma, a San Giovanni. C’erano 50.000 persone in piazza a dichiarare “Io sto con Emergency”. La paura più grande era che tutto il lavoro fatto in Afghanistan potesse finire in un momento. Poi, però, i nostri collaboratori sono stati rilasciati senza nessuna accusa e, con il tempo, abbiamo ricostruito una relazione con le autorità locali, riavviato le nostre attività a Lashkar-Gah ed oggi possiamo dire senza dubbio che Emergency è una realtà importante nella storia recente del Paese, apprezzata e riconosciuta da tutti”.
Quali e in che fase sono i progetti in realizzazione?      
La prossima primavera inaugureremo il nuovo Centro di eccellenza in chirurgia pediatrica che abbiamo iniziato a costruire nel febbraio 2017 a Entebbe, sulle rive del Lago Vittoria, in Uganda. L’ospedale è stato progettato gratuitamente da Renzo Piano Building Workshop in collaborazione con TAMassociati e l’ufficio tecnico di Emergency, all’insegna della sostenibilità ambientale: la struttura in muratura è in terra pisé, una tecnica tradizionale che utilizza la terra cruda per garantire un’inerzia termica in grado di mantenere costanti la temperatura e l’umidità. Inoltre, l’edificio sarà dotato di 2.600 pannelli solari fotovoltaici per soddisfare parte del fabbisogno energetico. Oltre a fornire cure chirurgiche di eccellenza, l’ospedale sarà anche un centro di formazione per giovani medici e infermieri provenienti dall’Uganda e dai Paesi circostanti, perché uno dei nostri obiettivi principali è sempre di contribuire alla crescita del personale sanitario locale in un’ottica di lungo periodo e sostenibilità per il Paese. Attualmente, stiamo anche lavorando per aprire un ospedale in Yemen, un Paese che sta vivendo una situazione drammatica ormai dal 2011. Da quando il conflitto si è intensificato negli ultimi mesi, c’è ancora più necessità di fornire cure alla popolazione, che ormai è stremata dalla fame, dalla mancanza di acqua pulita, di medicine e beni di prima necessità. Due persone su tre non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base e oltre 14 milioni di yemeniti vivono sull’orlo della carestia. Siamo già accreditati in Yemen come ONG e questo è il primo passo, necessario, per poter lavorare in un Paese. Tuttavia, è molto difficile procedere nella situazione attuale: il nostro staff ha effettuato numerose missioni e nelle prossime settimane ci aspettiamo finalmente una svolta per l’avanzamento del progetto”.              
In Italia la situazione generale sanitaria peggiora sempre di più, qual è l’impegno di Emergency?         
Abbiamo avviato il nostro Programma Italia già nel 2006, perché siamo consapevoli che il diritto alla cura, sancito anche dalla nostra Costituzione, nella pratica è spesso disatteso per tante categorie di persone, come migranti, stranieri e poveri. Muoversi all’interno del nostro Sistema sanitario nazionale, così complesso dal punto di vista burocratico, non è facile per chi ha difficoltà linguistiche, problemi di varia natura fisica o psicologica, scarsa conoscenza dei propri diritti. Nelle nostre strutture, dislocate in tante città italiane da Nord a Sud, incontriamo quotidianamente migranti appena arrivati, stranieri residenti in Italia da tempo, ma anche tanti italiani a rischio di povertà ed esclusione sociale a causa di una crisi economica apparentemente senza uscita. Negli ambulatori fissi e mobili e negli sportelli di orientamento socio-sanitario offriamo assistenza a tutti. Fino alla fine del 2018 abbiamo lavorato anche in diversi porti siciliani, come Augusta e Pozzallo e in alcuni Centri di prima accoglienza della Sicilia Orientale per offrire le prime cure ai migranti nella fase delicata dello sbarco e nella parte iniziale del loro percorso in Italia. Da qualche settimana, data la situazione nel Mediterraneo, drammaticamente peggiorata in seguito agli accordi con la Libia e l’instabilità di quel Paese, abbiamo avviato una bella collaborazione con Open Arms con l’invio di alcuni componenti del nostro staff – psicologi e mediatori – a bordo della nave e stiamo intensificando il nostro impegno anche su questo fronte”.

 

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